Intro
L'educatore
In poche parole l'educatore è grande semplicemente quanto lo è il livello della sua consapevolezza. Non può aiutare gli altri se non nella misura in cui lui stesso, almeno in parte, ha risolto nella pratica e coscientemente i problemi con i quali si scontra l'allievo. La conoscenza teorica è un aiuto solo in quanto può chiarire ciò che è stato effettivamente vissuto. Chiunque può leggere la descrizione di un corretto funzionamento psicomotorio, chiunque può riconoscerne e ammirarne l'immagine vivente in un grande ballerino........ma ciò non gli permette in alcun modo di aiutare gli altri ad appropriarsene, finché lui stesso non abbia vissuto il processo di trasformazione.
La funzione dell'educatore
La prima funzione è di fungere da specchio: deve rimandare all'allievo un immagine riflessa di ciò che è e di ciò che fa, più obbiettiva di quella che egli ha di sé.
....il primo problema di qualsiasi allievo sono le distorsioni e la cecità della percezione che ha di sé. Non si tratta di interpretare, ma di riflettere ciò che in quel momento è percettibile nella forma e nell'espressione corporea dell'allievo.
La seconda funzione è di indicare una direzione di lavoro, un po' come una guida alpina propone la via che poi ciascuno dovrà comunque percorrere con le proprie gambe e con i propri sforzi.
Il modo migliore di svolgere questa funzione è l'esempio pratico...Ancora più precisamente, l'educatore pone, sotto forma di esercizi, una serie di problemi da risolvere. L'allievo deve trovarne da solo la soluzione migliore e, grazie a questo sforzo, arricchisce a poco a poco la consapevolezza di sé.
Infine (terza funzione), quando il risultato è stato raggiunto, l'educatore può confermare all'allievo ciò che in fondo egli sa già.
L'educatore generalmente non deve che confermare questa evidenza interiore per evitare che sia incrinata da false percezioni.
L'esercizio, una volta che è riuscito così bene, cambia qualità: se prima si cercava a tentoni una ignota, corretta gestualità, ora si ripete con attenzione questo nuovo modo di fare, e così la "fragile" percezione di giustezza della prima scoperta poco a poco si rinforza. Questo progressivo esercizio può condurre a un miglioramento spontaneo verso una gestualità naturale che non sia più il frutto di compensazioni.
Le tappe della trasformazione
Prima tappa: l'esistenza di un problema appare sotto forma di un malessere, più o meno diffuso o preciso. Questo fatto determina una decisione del tipo "devo fare qualcosa perché non posso più andare avanti così".
Seconda tappa: in genere con l'aiuto di un educatore il problema viene riconosciuto per ciò che è realmente. Questo porta a scoprire delle compensazioni che prima erano inconsce, e che hanno preso il posto alle funzioni ottimali secondo la struttura dell'organismo e la reale situazione esterna.
Terza tappa: eliminare le compensazioni a favore del nuovo e adeguato modo di fare, più funzionale alla realtà interna e esterna.
Quarta tappa: l'esercizio e l'uso conscio di questa giusta funzione ritrovata, permette di rinforzarla e ristabilirla in modo durevole.
Infine compito dell'educatore, è quello di gestire in modo armonioso i seguenti aspetti dell'allievo:
- mentali: paura, autostima, motivazione, costanza, determinazione, dare il meglio di sé, gestione dell'ansia da prestazione
- tecnici: principi generali, schemi motori e progressioni di base, varianti alle progressioni, gestione compensi, ritmo e respiro, lettura della via
- atletici e coordinativi: coordinazione motoria generale, scioltezza, velocità-resistenza-forza
- sicurezza: essendo uno sport con degli aspetti importanti legati alla gestione della sicurezza propria e del compagno. Controllo reciproco, uso freni a moulinette, nodologia, rinviaggio, uso dei freni per il primo di cordata, tenuta dei voli
Alla base di tutto però c'è un aspetto fondamentale: la relazione. Se non si crea una relazione fra l'educatore e gli allievi, il suo compito viene vanificato. La gestione di queste relazioni è più semplice nel rapporto adulto-adulto, molto più complessa nel rapporto adulto (educatore) – bambino e adulto – ragazzo.
Nel rapporto adulto – adulto è più semplice perché la struttura mentale è uguale, il linguaggio è uguale.
Profondamente diversa è la relazione tra l'educatore adulto e:
- il bambino di 4-6 anni
- il bambino di 7-10 anni
- il ragazzo di 11-14 anni
- l'adolescente di 14-19 anni
- il giovane di 20-25 anni
Tecnica e didattica
Attualmente nel mondo dell'insegnamento specializzato delle discipline della montagna sembra esistere un equivoco tra le parole didattica e tecnica individuale, e questo si evidenzia quasi ad ogni livello. Per cercare di chiarire meglio le cose diamo qui due definizioni che vogliono indicare la differenza importante tra i due termini.
Tecnica individuale: insieme dei modelli motori (che potrebbero essere chiamati anche soluzioni motorie) che possono essere adottate dall'individuo al fine di affrontare e risolvere un determinato problema. Nell'arrampicata il problema è dato dalla disposizione di appigli e appoggi sulla roccia o dai punti dove si riescono a piantare gli attrezzi per quanto riguarda il ghiaccio. Per lo sci invece, per analogia, sono le soluzioni motorie adeguate al controllo della velocità o alla sua ricerca, al risparmio delle energie e alla salvaguardia delle strutture articolari e legamentose in relazione alla tipologia della neve. Ricordiamo inoltre che un medesimo problema può essere risolto da individui diversi in modo diverso, non essendo unica la combinazione di movimenti più vantaggiosa energeticamente, cioè meno dispendiosa e più sicura per i legamenti e le strutture ossee interessate. Questo perché le caratteristiche individuali, sia morfologiche che condizionali come altezza, peso, scioltezza, forza, favoriranno l'utilizzo di soluzioni diverse da individuo a individuo. Questa personalizzazione della soluzione, cioè la scelta del modello motorio adeguato, deve essere tenuta presente dall'insegnante. Ribadiamo infine che nella visione delle Guide Alpine, la tecnica individuale non è un obiettivo fine a sé stesso, ma uno strumento per aumentare la sicurezza (grazie alla riduzione del pericolo di scivolare o cadere) e il divertimento (grazie alle sensazioni di fluidità, equilibrio e armonia) e per ridurre la possibilità di infortuni (una corretta tecnica salvaguardia le strutture articolari e tendinee).
Didattica: insieme degli strumenti di comunicazione e trasmissione del sapere volti a far apprendere un determinato modello motorio. Risulta evidente quindi che una persona con ottima tecnica individuale può anche essere un pessimo insegnante perché non dispone di adeguate capacità didattici, mentre il contrario non può essere vero. Cioè il maestro deve comunque possedere delle buone capacità tecniche nella materia che vuole insegnare, anche se non deve essere necessariamente un campione. Ciò non toglie che deve ricevere una formazione adeguata per essere capace di trasmettere agli allievi il sapere e le capacità motorie proprie della disciplina in oggetto che lui stesso pratica a buon livello. Attenzione però che il maestro non ricopre questo ruolo per dimostrare una abilità superiore, bensì per facilitare l'apprendimento altrui, per essere al suo servizio in questo percorso. La Guida Alpina è da diversi anni anche Maestro di Alpinismo, e la sua formazione prevede appunto questo percorso.
Una struttura organica di un percorso formativo specifico per una data disciplina, per esempio l'arrampicata, deve quindi prevedere la conoscenza dei numerosi modelli motori disponibili, fatti apprendere agli allievi dal maestro attraverso idonei strumenti didattici. Se l'obiettivo è quello di trasmettere la tecnica individuale ci si potrebbe fermare qui, ma se l'obiettivo è quello di formare dei maestri, degli insegnanti, allora è necessario approfondire oltre al discorso tecnico anche quello didattico. Cioè la Guida Alpina-Maestro di Alpinismo deve sapere, saper fare ma anche saper far fare (saper insegnare) e questo è un passo in più rispetto a chi pratica semplicemente una attività motoria in montagna.
L'arrampicata è un'attività motoria a metà strada tra lo sport e il gioco, che può essere praticata dai sassi alti pochi metri (bouldering) alle falesie (dove prende il nome di arrampicata sportiva) fino alle grandi pareti in alta quota, dalle Alpi all'Himalaya (alpinismo). Quello che cambia è il contesto ambientale in cui la si pratica e gli eventuali rischi e pericoli associati, non i principi generali dell'equilibrio e della tecnica. E' proprio dei principi generali e della tecnica (Modelli Motori) che ci occuperemo nei primi due capitoli di questo lavoro. La tecnica di cui ci occuperemo è quella dell'arrampicata libera, la cui definizione tratta e adattata dallo storico testo di W. Gullich e A. Kubin "L'arrampicata sportiva" è:
Nell'arrampicata libera, per il superamento della parete, vengono usati solo i punti di sostegno naturali offerti dalla roccia, come appigli, appoggi, fessure, ecc. Oppure nel caso di pareti artificiali dalle prese posizionate sul muro. Se per aiutare la progressione o anche solo per il riposo si usa un qualsiasi mezzo artificiale come corda, chiodi, rinvii, spit, ecc. allora si parla di arrampicata artificiale.
Premesso quindi che a noi interessa qui andare ad analizzare i diversi gesti riconducibili ad una tipologia comune (Modelli Motori) vediamo come è possibile schematizzare l’arrampicata suddividendola in due fasi.
Da un punto di vista generale l’arrampicata può essere vista come un’attività motoria che comprende delle fasi statiche (dove l’arrampicatore è fermo) e delle fasi dove l’arrampicatore è in movimento. Diremo meglio che l’arrampicatore è fermo quando il suo bacino è fermo, è in movimento quando il bacino si muove. Infatti nel bacino si trova generalmente il punto ideale di applicazione della forza peso, chiamato Baricentro (vedi il glossario per ulteriori dettagli). Nelle fasi statiche si assumeranno delle posizioni che dovranno possibilmente avere le seguenti caratteristiche: equilibrio stabile, minor affaticamento possibile, possibilità di osservare la parete, possibilità di lasciare una mano (uso della magnesite, moschettonaggio, posizionamento delle protezioni, ecc.).
Nelle fasi di movimento eseguiremo degli movimenti, progredendo nell’arrampicata, con risparmio di energia, esaltando efficacia, armonia, fluidità, piacere del gesto. Questo renderà l’arrampicata divertente, piacevole, di soddisfazione, e il risultato anche in termini di difficoltà superata ne sarà una conseguenza.
La progressione sarà dunque una successione armonica di queste due fasi concatenate tra loro. La fase di movimento permetterà di ricreare una nuova Posizione statica più in alto nel caso di salita in verticale o comunque spostata di lato nel caso di traversate. Entrambe queste fasi hanno le loro peculiarità che tratteremo qui in generale e poi nel particolare di ogni Modello Motorio descritto nella parte successiva di questo lavoro.
È da precisare che una suddivisione schematica tra queste due fasi è necessaria per favorire l’apprendimento, ma l’arrampicatore evoluto, in particolare su difficoltà elevate, tende a ragionare per sequenze che concatenano diversi Modelli Motori senza soluzione di continuità fino al raggiungimento di una posizione di reale riposo o decontrazione muscolare, generalmente associata alla disponibilità di buoni appigli e appoggi. Questo rappresenta l’obiettivo finale di un percorso di apprendimento motorio in arrampicata.