Acclimatamento e alta quota: come affrontarli? L'aspetto medico
Comunicato stampa n. 07 del 18/07/2024
L'acclimatamento è cruciale per preparare il fisico alle condizioni di alta quota e prevenire il mal di montagna. Per approfondire questo argomento, il Collegio Nazionale delle Guide Alpine offre qui la duplice prospettiva di un medico e una guida, che insieme costruiscono un dettagliato quadro di informazioni, utile a chi progetta di affrontare una salita in alta quota, magari su un quattromila, approffittando delle ottime condizioni dei ghiacciai questo periodo.
Da un lato il medico ci spiegherà cosa si intende per acclimatamento, la sua importanza, come affrontarlo e il ruolo della nutrizione e dell’idratazione. La guida alpina, invece, spiegherà come pianificare un itinerario tenendo conto dei tempi necessari per un corretto acclimatamento.
Il dott. Antonio Prestini, Dirigente Medico del Dipartimento di Prevenzione dell'APSS di Trento, nonché responsabile dell'Ambulatorio di Medicina di Montagna e Guida Alpina, ci spiega innanzitutto cosa si intende per acclimatamento e quanto può essere cruciale per l’esito positivo di una salita in quota.
L’acclimatamento è il processo che il nostro organismo mette in atto quando saliamo di quota e iniziamo a respirare un'aria per così dire “rarefatta”. Salendo di quota diminuisce la pressione barometrica, quindi, pur rimanendo costante la percentuale di ossigeno (gas respiratorio) diminuisce la pressione con cui è disciolto nell’aria, e di conseguenza diminuisce la quantità di ossigeno che noi riusciamo ad introdurre nei polmoni e a trasportare nel sangue (ipossia ipobarica). Tramite modificazioni a carico di vari organi e apparati, soprattutto dell’apparato cardio-respiratorio, l'organismo si adatta alla diminuita pressione barometrica e all’ipossia, in modo da essere in grado di svolgere attività fisica quale camminare ed arrampicare con una performance ridotta, ma comunque sufficiente per raggiungere i propri obiettivi. L’acclimatamento quindi è un processo che richiede tempo.
Da che quota il fisico può accusare i primi problemi?
Una persona sana, in buona forma fisica, fino al 2500 metri in genere non avverte cambiamenti significativi e la quota non produce effetti apprezzabili sulla performance fisica. Dai 3000 metri in su questo effetto diventa via via più evidente. La sensibilità alla quota, tuttavia, varia da persona a persona.
Quanto tempo è consigliabile trascorrere a diverse altitudini per un acclimatamento efficace?
Tutto dipende da quale quota dobbiamo raggiungere. In linea generale, vale sempre la regola di prevedere una ascesa il più possibile lenta per dare il tempo al nostro organismo di abituarsi. L’utilizzo degli impianti di risalita non facilita quindi il processo di acclimatazione: salire velocemente in quota, al di sopra dei tremila metri, partendo alla mattina da città poste a livello del mare come Milano, Roma o Genova in giornata, aumenta la possibilità di avere dei disturbi legati all’altitudine.
In Himalaya oppure sulle Ande, dove le quote sono molto superiori alle Alpi, esistono delle precise tabelle con indicazioni su quanto tempo permanere alle diverse quote, quanto dislivello fare al giorno e la quota del pernottamento fra un campo ed il successivo. Tali tabelle vengono consigliate ai partecipanti di trekking o di spedizioni d’alta quota e sono ormai universalmente accettate. Per salire al disopra di 5000 metri l’acclimatazione deve essere fatta secondo regole precise anche da parte di alpinisti esperti e che hanno già raggiunto tali quote in precedenti occasioni.
La regola “salire in alto, dormire in basso” è valida?
Sì, bisogna sempre evitare di dormire alla quota massima che abbiamo in programma di raggiungere. Faccio un esempio. Se il nostro obiettivo è il Monte Rosa, la cosa giusta è di programmare la salita in tre giorni. Ideale infatti sarebbe dormire a Gressoney o Alagna la prima notte, poi salire al rifugio Gnifetti o Mantova anche con l’ausilio della funivia, ma con molta calma, e prendersi tutto il giorno per acclimatarsi alla nuova quota intorno ai 3500 metri. Il giorno dopo raggiungeremo la capanna Regina Margherita, e poi ridiscenderemo. Un grosso errore che ogni tanto purtroppo viene fatto, sarebbe invece di voler raggiungere direttamente la cima, posta oltre 4550 metri, facendo la gita tutta in giornata, e magari fermarsi a dormire alla capanna Margherita per vedere l’alba il giorno dopo. Così facendo sarebbe uno sbalzo di quota notevole e rischioso, perché durante la notte tutti i sintomi del mal di montagna vengono amplificati.
Quali sono i sintomi più comuni del mal di montagna e come possono essere gestiti?
Il sintomo cardine è il mal di testa (cefalea). Se compare mentre saliamo di quota oppure alla sera in rifugio è un segnale quasi certo di mal di montagna. Alla cefalea possono associarsi altri disturbi, quali stanchezza importante, vertigini, nausea, vomito e disturbi del sonno. La stanchezza è un sintomo più difficile da interpretare, perchè è insita nell’attività stessa dell’alpinismo, per cui deve essere valutata con attenzione, in maniera obiettiva. Ad esempio considero le esperienze precedenti, il mio stato di allenamento, oppure mi confronto su quanto sono stanchi gli altri partecipanti della mia comitiva. Nausea, vomito ed insonnia sono disturbi fastidiosi e in genere insorgono la sera in rifugio, condizionando quindi la performance del giorno seguente. La vertigine (atassia), senso di sbandamento, difficoltà di equilibrio, è il sintomo più grave perché è un campanello di allarme che indica alterazione del sistema nervoso centrale. Inoltre non sono da sottovalutare neanche le variazioni della temperatura, dell’umidità dell’aria e la presenza di vento, che sono variabili che possono influire molto sulla performance di chi, partendo dalla città, si avvicina rapidamente alle alte quote, e che concorrono alla sensazione di malessere. L’eventuale utilizzo di farmaci per prevenire i disturbi d’alta quota deve essere fatto sotto il controllo medico.
Cosa dovrebbe fare una persona se inizia a manifestare sintomi di mal di montagna?
Tornare subito indietro quando compaiono i primi sintomi, soprattutto se mancano più di 300-500 metri di dislivello alla meta. Infatti, se si permane in quota, magari per la notte, i disturbi possono peggiorare, la persona non riesce più a scendere con le proprie forze e può rendersi necessaria l’evacuazione tramite elicottero. I sintomi regrediscono invece velocemente se ci abbassiamo anche solo di 300-500 metri di dislivello. Consiglio di dare retta alla Guida Alpina che ci sta accompagnando oppure al Gestore del Rifugio, che conoscono i disturbi d’alta quota e sanno come gestirli e ci consiglieranno per la discesa, quando possibile. Purtroppo a volte si decide di proseguire ugualmente, vuoi perché incitati dai compagni, vuoi per il dispiacere della rinuncia oppure per il tempo ed il denaro investiti. In tale caso il mal di montagna può evolvere nelle sue forme più gravi, l’ edema polmonare (HAPE) e l’edema cerebrale (HACE).
Che ruolo hanno nutrizione e idratazione per l'acclimatamento?
Sono molto importanti. L’idratazione deve essere particolarmente curata e abbondante, perché facilita le fasi dell’acclimatazione e previene anche altri disturbi legati alla diminuzione della temperatura. Consiglio di bere tanto giorno prima, soprattutto la sera in rifugio e la mattina a colazione. Necessario poi avere almeno 1 litro di bevanda calda nello zaino il giorno dell’ascesa. Infatti le bevande calde sono l’ideale perchè il freddo peggiora i disturbi dell’alta quota. Per l’alimentazione non ci sono regole esatte, ma deve essere ugualmente ben pianificata, ricca, e varia per poter fornire tutte le calorie e quindi le energie necessarie. Consiglio di mangiare cibi facilmente digeribili per non avere difficoltà digestive e per discernere i sintomi gastrointestinali se subentrano. In verità, per brevi escursioni in alta quota sulle nostre montagne, non c’è un alimento meglio di un altro: cambia da persona a persona, uno digerisce meglio i grassi, un altro i carboidrati, e così via. Mi permetto di raccomandare però di usare il più possibile involucri ridotti al minimo per ridurre il peso dello zaino e i rifiuti prodotti.
Quanto è soggettivo l’acclimatamento? Cambia da soggetto a soggetto o anche, nello stesso soggetto, in diverse salite?
Noi non siamo tutti uguali, non esiste una quota problematica uguale per tutti, e poichè l’adattamento è un processo fisiologico, non è detto che il nostro organismo risponda sempre allo stesso modo quando si trova in condizioni di ipossia. Alcune persone già a 2500 metri avvertono i primi disturbi, altre riescono a raggiungere anche i 4000 metri senza grossi problemi. Generalmente ogni persona presenta una quota “critica” alla quale si inizia a star male e questa soglia può essere migliorata con un’adeguata acclimatazione e l’allenamento.