Canada: Sarchi, Reboldi, Tocchini e Parolari salgono la Pomme d’Or
Una colata di 330 metri di ghiaccio verticale, maestosa, dorata e mitica. La “Pomme d’Or” si trova in un angolo di mondo remoto, nel Quebec, a 30 km di distanza dall’ultimo telefono fisso, dall’ultima locanda. È una delle cascate più famose del Canada, per molti “La” classica per eccellenza, che conta 6 tiri fino al grado V, 5+/6. Fu salita per la prima volta nel marzo del 1980 da Kurt Winkler e Jim Tierney. Quattro anni dopo arrivarono i primi italiani, e che italiani: una cordata composta da ghiacciatori del calibro di Gian Carlo Grassi, Renato Casarotto e Guido Ghigo. Pochi giorni fa quattro loro connazionali hanno messo la firma sulla splendida “Pomme d’Or”: le Guide Alpine Andrea Sarchi, Roberto Parolari, Andrea Tocchini e Andrea Reboldi, primi a salirla in questo inverno e primi anche negli ultimi 2 anni. Di seguito Sarchi racconta come è andata la loro spedizione.
Avevo visto questo flusso di ghiaccio dorato in una foto chissà dove e quando. Era stato un vero colpo di fulmine, l'avevo guardata e riguardata incredulo, ammirando la verticalità delle sue linee che si allargavano in possenti frange sospese nel vuoto e che in finale si frastagliano in stalattiti e cristalli dorati di bellezza sconvolgente. E poi quel colore e quel riflesso che impreziosiva la struttura. Non c'è che dire, “La Pom d'Or” è, ai miei occhi, un'opera barocca di assoluto valore, nascosta e incastonata in una remota e sperduta valle del Quebec francese.
Quella volta era scattata in me la pulsione, la curiosità e il desiderio. L'anno scorso ne ho parlato con Luca (Biagini) collega e caro amico ormai di lunga data. Per me Luca è uno dei migliori “ghiacciatori” che io abbia visto in azione. Arte e leggerezza, l'unico modo con cui ci si può mettere in relazione con questi elementi: acqua ghiaccio e aria. C'eravamo ripromessi che quest'anno sarebbe stato l'anno buono per andare laggiù e in me il tarlo era cresciuto a dismisura ma, sfortunatamente per Luca, impegni, lavoro, famiglia e i soliti ingorghi della vita, l'avevano fatto desistere da questo peccaminoso progetto. Almeno per ora. Io, invece, sentivo che dovevo partire. Comincio ad avere una certa maturità e anche se l'energia vitale a volte mi romba e ribolle dentro quasi come prima, sento che tutto ciò che si può fare ora è meglio semplicemente farlo e non perdersi in improbabili “Ci penseremo”.
Per casualità ne ho parlato ad un amico e allievo dei corsi guida di ormai vent'anni fa, Robertino (Parolari), bresciano, inossidabile e coriaceo appassionato di ghiaccio e di montagne. Gli ho comunicato la mia intenzione, di prima mattina a casa mia a Temù, in occasione di una sua breve visita prima di risalire la Val d'Avio in cerca di ghiaccio da salire e prima di sera aveva deciso di essere della partita. Dopo qualche giorno si è aggiunto Andrea (Tocchini) giovane aspirante guida alpina dell'ultimo ciclo dei corsi, allegro, spensierato e carico di simpatia contagiosa. Per ultimo si è unito Andrea (Reboldi), pure lui guida alpina, valtriumplina di origine e compagno di cordata di Roby. Qualche scambio con whatsapp e la data della partenza si attesta sul 26 di Febbraio 2016.
Abbiamo una finestra di pochi giorni e per la verità, non sappiamo granché bene dove dobbiamo andare. Sappiamo che “La Pomme d'Or” è in Quebec, a est, e che la città dove scenderemo dall'aereo è Montreal. Più che abbastanza per partire con spirito e motivazione. E poi durante le lunghe ore di volo si approfondirà il resto. Arriviamo a Montreal e appena usciti dall'aeroporto ci accorgiamo di quanto sia pungente e invadente l'aria. Qui l'inverno è quello vero, niente a che vedere con quello che abbiamo quasi passato dalle nostre parti. Subito dirigiamo a Quebec City, distante 250 km e mano a mano che ci spostiamo verso Nord est sentiamo che stiamo penetrando nel vivo della storia senza indugi e riflessioni. Al termine di quella interminabile giornata di quasi 24 ore facciamo visita alla famiglia Cavalli, italiani amici di Roberto, che vivono qui ormai da molti anni. Ci raccontano con entusiasmo come si vive da queste parti e mi fanno sentire a mio agio. Un pezzetto d'Italia anche qui nel lontano Quebec.
La mattina successiva, presto, siamo operativi, le ultime spese e poi andiamo a “spizzicottare” a Pointe Rouge la palestra dei “ghiacciatori” locali. Sono contento, sono i primi due tiri di ghiaccio un po' seri che riesco a fare in questa annata particolare, tra il caldo, la neve e il lavoro di maestro di sci non ho avuto grandi possibilità di dedicarmi ad una delle attività che più mi appassionano e ispirano. E’ solo con la mattina successiva che inizia il vero avvicinamento a “La Pomme d’Or”. Due ore di strada in auto, dove ci addentriamo nel cuore di questa regione che ci propone dei paesaggi ondulati e morbidi ricoperti di foreste a perdita d'occhio, interrotte solo di tanto in tanto da corridoi per le linee elettriche che portano energia lontano chissà dove. Dopo alcune difficoltà arriviamo al nostro obiettivo l’Auberge du Relais des Hautes Gorges, vero punto di partenza all'entrata del parco delle Gorges de la Rivier Malbaie. Da qui potremo contare su un passaggio in motoslitta che ci risparmierà una quindicina di chilometri dei 30 totali che ci separano dal salto de “La Pomme d'Or”.
Entro nell’alberghetto e mi sembra di essere finito sul set del film di “Shining” e mi aspetto di vedere comparire da un momento all'altro il vecchio Jack Nicholson minaccioso con in mano l’accetta. Invece compare una anziana signora che mi fa notare che siamo in ritardo e che Real, lo chef e l'anima vera del posto, ci sta aspettando nella rimessa. Lo trovo seduto in compagnia di una combriccola di ceffi infagottati e con i caschi integrali appoggiati sul tavolaccio. E una grande puzza di birra. Sono i driver delle motoslitte che ci accompagneranno fino alla sbarra all'entrata del parco. Da lì, dopo un caloroso saluto con pacche sulle spalle e ammiccamenti vari, calziamo gli sci e ci spingiamo lentamente nella valle un passo dopo l'altro con lentezza e monotonia e lo zaino troppo pesante che grava insopportabile e arrogante sulle spalle. Trasportiamo attrezzatura per arrampicare, sacchi a pelo, tenda, fornelli, cibo e generi di conforto per due giorni, pale da neve e altri piccoli confort della civiltà che volutamente stiamo abbandonando.
Improvvisamente dopo qualche ora alzo gli occhi e la vedo. “La Pomme d’Or” è maestosa, si tuffa da un salto di roccia scura e strapiombante alto qualche centinaio di metri. E poi è dorata e spicca di calore in mezzo al bianco che regna incontrastato. Chissà se riuscirò a salire su quelle nude frange verticali. Con le ultime luci della giornata montiamo le tende e prepariamo il giaciglio per il meritato riposo. Il freddo e la stanchezza ci calano addosso con forza e prepotenza. Con il mio compagno di cordata Andrea mangiamo una zuppa calda in allegria e buon umore e ci infiliamo nel nostro bozzolo di piuma. Ci sveglia il rombo sordo della bufera e le raffiche di vento che violentemente scuotono il telo della tenda che ci spruzza sul viso dei minuscoli coriandolini di cristalli gelati, per niente piacevoli di prima mattina. Facciamo colazione e sono indeciso. Il tempo è veramente proibitivo, anzi infame. Ma come altre mille volte prevale volontà e l’obiettivo che ho nella mente.
Procedo con le azioni da fare pensando solo a quella successiva. Nessun altro pensiero è ammesso. Finiamo la frugale e calda colazione, ci vestiamo, ci assicuriamo di avere tutto il necessario nello zaino, chiudiamo la tenda e arranchiamo con la neve alle anche su per una, a volte fitta, boscaglia e successivamente per un canale che conduce alla base del nostro salto dorato. Da qua sotto, la parete sembra ancora più alta e incombente e continuamente dai suoi levigati fianchi strapiombanti scendono delle slavine di aria e neve che ci avvolgono in nuvole cristalline e fredde. I primi due tiri, ghiaccio roccia e qualche toppa rinsecchita ci conducono alla base del salto verticale. Dentro sono entusiasta, adesso si fa sul serio e poi si arrampica su questo ghiaccio dorato che è un'assoluta novità. Le piccozze entrano tenere e si aggrappano saldamente alla superficie più liscia e scivolosa che esista. I ramponi fanno lo stesso e costituiscono la base di appoggio per creare il movimento. Bisogna solo scegliere le linee immaginarie più comode e appropriate.
Roby e Andrea ci precedono di una lunghezza e velocemente arriviamo al salto finale ripido è impressionante. Qui bisogna partire decisi e non farsi impressionare dalla gravità e dalle linee che convergono vertiginose verso il basso. Anche in queste situazioni mi devo concentrare solo sulle mosse immediatamente successive. Se dovessi considerarle tutte insieme nel loro complesso mi mancherebbe certamente il coraggio. Guardo con ammirazione i miei compagni che lentamente ma inesorabili guadagnano metro dopo metro. La stanchezza si fa sentire siamo in movimento da tante ore in un freddo polare, sferzati dal vento e oppressi dal muro sovrastante che ci fa sentire piccoli e senza riparo. Ma ora siamo all'ultimo tiro e uniamo le nostre corde in un'unica squadra. E’ Roby che si incarica di chiudere la partita con il “Mostro”.
Quando per ultimo emergo sul pianoro sommitale, con l’ultima luce della giornata e la notte che incombe, esplode una gioia selvaggia e incontenibile che si manifesta con urli e grugniti animaleschi che riecheggiano incontrastati in tutta la vallata. Sono certo che anche gli orsi e tutti gli altri della foresta saranno rimasti per un attimo atterriti da così tanto selvaggio sfogo. Da questo momento in poi è tutto un rientro graduale e a tappe nella normalità. Da ora c'è spazio solo per gioia pura e beata felicità. Per un po' non c'è più niente da fare solo vivere per la sola bellezza e grandiosità del vivere.
Grazie ai miei magnifici compagni Robertino (il papà), Andrea R e Andrea T (i bambini)
Andrea S (il nonno).