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Le Guide Alpine Italiane rispondono alle accuse dell’Associazione Italiana Guide Canyoning

Comunicato stampa n.8 del 19/10/2016

 

MILANO - Il Collegio Nazionale Guide Alpine Italiane, a seguito della lettera aperta inviata alla stampa da Simone Cecchi, presidente dell’Associazione Italiana Guide Canyoning, intendono di seguito rispondere.

Nonostante la premessa sia la “volontà e l’intento di portare un po’ di chiarezza e verità in questa storia”, il Collegio Nazionale delle Guide Alpine Italiane non riconosce in alcun modo la ricostruzione dei fatti riportata dalla suddetta lettera, ma anzi riscontra una lunga serie di travisamenti e di accuse infondate.

Alle illazioni e alle provocazioni lasciamo rispondere le sentenze dei tribunali, che in più procedimenti si sono già espressi con sentenze di condanna per esercizio abusivo della professione. Essendo la disputa approdata in sede giudiziaria, riteniamo che quello sia il luogo opportuno perché venga trattata e risolta. 

Ci limitiamo a ricordare invece in cosa consista la pratica del canyoning, chiamato anche torrentismo: la discesa di torrenti e di strette gole scavate da corsi d'acqua che richiede un’ottima conoscenza dell’ambiente montano in cui ci si muove e delle tecniche e dell’attrezzatura alpinistica, quali corde, imbraghi, discensori, che sono strumenti essenziali allo svolgimento dell’attività.
Ricordiamo inoltre quanto recita la legge del 2 gennaio 1989, che regola la professione delle Guide Alpine, all’Articolo 2: “Lo svolgimento a titolo professionale delle attività di cui al comma 1, su qualsiasi terreno e senza limiti di difficoltà e, per le escursioni sciistiche, fuori delle stazioni sciistiche attrezzate o delle piste di discesa o di fondo, e comunque laddove possa essere necessario l’uso di tecniche e di attrezzature alpinistiche, è riservato alle Guide Alpine abilitate all’esercizio professionale e iscritte nell’albo professionale delle Guide Alpine”.

Una riserva di legge motivata dalla necessità di avere garanzia degli standard qualitativi del professionista che offre la propria competenza in un’attività in cui esistono rischi oggettivi, non un retaggio da corporativismo medievale.
Infine, poiché l’attività del canyoning contempla anche la presenza dell’acqua, con conseguente necessità di attrezzature alpinistiche declinate ad hoc e la gestione di rischi propri delle gole e dei torrenti, i professionisti abilitati all’accompagnamento e all’insegnamento del canyoning sono le Guide Alpine specializzate in questa disciplina.

“L’unica realtà che ha creato degli standard di specializzazione nell’ambito dell’attività di canyoning è quella delle Guide Alpine – spiega Marco Heltai, presidente della Commissione tecnica Canyoning del Collegio nazionale delle Guide Alpine e dell’UIAGM, l’Unione Internazionale delle Guide Alpine -, sia a livello nazionale sia a livello internazionale. La Guida Alpina ha le competenze necessarie a eseguire lavori con le corde e il resto dell’attrezzatura, ma deve ulteriormente specializzarsi: l’attività in acqua utilizza infatti, tecniche e problematiche differenti dai lavori in fune o dall’arrampicata in parete. Ci si muove in ambienti che comportano dei rischi, che la Guida Alpina è in grado di gestire perché viene formata per farlo”. 

Il Collegio Nazionale Guide Alpine Italiane, oltre a garantire che i propri professionisti offrano standard qualitativi stabiliti a livello internazionale, a tutela dell’utente e in qualità di ente pubblico, è chiamato dalla legge a denunciare chi esercita abusivamente la professione. Tale compito è già esercitato con attenzione e scrupolo, e per il futuro il CoNaGAI sarà ancora più sollecito nel perseguirlo.

 

Ufficio stampa Collegio Nazionale Guide Alpine Italiane

Comunicato stampa n.8 del 19/10/2016